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Ho pensato che i classici possono essere intesi come frammenti di pensiero assolutamente attuale - ossia importante da valutare nel presente - proprio per il fatto di essere stati prodotti in un tempo cosiddetto non sospetto.

Mi piace pensare a qualcosa risalente al passato come a una concretizzazione frutto di meccanismi mentali più "vergini" di quelli attuali. In questo senso un certo passatismo ci aiuta a valutare la realtà attraverso un filtro privilegiato: quello della parziale o totale assenza di determinate stratificazioni dovute come ovvio al tempo.

L'arte non procede assolutamente con la linearità della scienza o della tecnologia. L'arte recupera e getta, torna sui suoi passi, ora per riconsiderarli sulla base di nuove istanze, ora per depurarli, o rigettarli, o metterli in discussione alla luce di nuove esperienze.

Il classico è stato a suo tempo definito come "ciò che non smette mai di dire quello che ha da dire" (sintetizzo il concetto da Italo Calvino), e credo di aver detto in fondo la stessa cosa, ma da una prospettiva leggermente diversa: l'inadeguatezza al cospetto del presente come forma paradossalmente più adeguata per analizzarlo, criticarlo e dunque, in definitiva, rintracciare gli strumenti adatti al suo miglioramento attraverso nuove idee, posizioni, strategie e modalità d'azione.

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